Brick and mortar vs online: come integrare negozio fisico e canali digitali

Per anni si è parlato di brick and mortar vs online come se fossero due mondi separati e in competizione: da un lato il negozio fisico, con vetrina, scaffali e cassa; dall’altro l’e-commerce, fatto di schede prodotto, carrelli virtuali e campagne digital.

Oggi, però, per chi si occupa di marketing e finanza aziendale questa contrapposizione è sempre meno utile: il cliente non ragiona per “canali”, ma per esperienza.

Scopre un brand su Instagram, prova un prodotto in negozio, confronta recensioni online, acquista dove gli è più comodo in quel momento, che sia una boutique di quartiere o un sito web. L’obiettivo non è più scegliere tra brick and mortar e online, ma capire come integrarli in modo intelligente.

In questo contesto il punto vendita fisico non è morto, anzi: sta cambiando ruolo. Diventa luogo di relazione, di prova, di consulenza, di ritiro e reso; mentre il digitale raccoglie dati, gestisce la parte transazionale e accompagna il cliente lungo tutto il percorso d’acquisto.

In questo articolo vedremo cosa significa oggi “brick and mortar”, quali sono i reali vantaggi e limiti di negozio fisico e online, come costruire una strategia omnicanale concreta, quali KPI monitorare e in quali casi ha ancora senso investire su spazi fisici.

L’obiettivo è fornire una visione pratica: non teoria astratta, ma spunti per imprenditori, retail manager e professionisti del marketing che devono prendere decisioni ogni giorno.

Brick and mortar: cosa significa oggi per il retail

Illustrazione concettuale che mostra un negozio fisico e un sito e-commerce collegati tra loro

Il termine brick and mortar nasce per indicare, in modo quasi letterale, le attività “in mattoni e cemento”: negozi, filiali, uffici fisici, in contrapposizione ai business nati solo online. Per anni, soprattutto con l’esplosione dell’e-commerce, “brick and mortar” è stato quasi sinonimo di modello tradizionale, percepito da molti come destinato a perdere terreno.

La realtà, però, è più sfumata: il punto vendita fisico non è semplicemente un canale di vendita, ma un asset strategico che può svolgere molte funzioni diverse a seconda di come viene ripensato.

Oggi un negozio brick and mortar efficace non è solo un luogo in cui passano scontrini, ma un touchpoint esperienziale. È il posto in cui il cliente vede, tocca, prova i prodotti, riceve consigli da persone reali, verifica coerenza tra ciò che ha visto online e ciò che trova dal vivo.

In un contesto in cui il consumatore è bombardato da offerte digitali, avere uno spazio fisico credibile permette di costruire fiducia e rassicurazione: “dietro” il sito web c’è un’azienda concreta, con persone e magazzino, non solo una pagina ben fatta.

Allo stesso tempo, il negozio fisico può diventare un’estensione operativa dei canali online: punto di ritiro per ordini fatti sul sito, hub per spedizioni locali (logica di ship from store), luogo privilegiato per gestire resi in modo più rapido e meno costoso.

In quest’ottica, il brick and mortar smette di essere un centro di costo isolato e diventa parte di una infrastruttura distributiva che integra fisico e digitale. La sua posizione, la metratura, l’organizzazione del magazzino e del personale assumono un significato diverso se letti in chiave omnicanale.

Per il retail, parlare oggi di brick and mortar vuol dire quindi tornare alla domanda di fondo: quale ruolo strategico assegno al mio punto vendita? Solo vendere “al banco” o anche generare lead per l’online, raccogliere dati sui clienti, offrire servizi a valore aggiunto (consulenze, appuntamenti, eventi)?

La risposta a questa domanda determina tutto il resto: layout, investimenti tecnologici in store, formazione del personale, integrazione con CRM e piattaforme e-commerce. Il mattone resta, ma il modo in cui lo facciamo lavorare è completamente cambiato.

Dalla contrapposizione al modello ibrido: come sta cambiando il punto vendita fisico

La narrazione “brick and mortar vs online” ha creato per anni un’illusione: che l’unica alternativa fosse scegliere da che parte stare. Oggi i numeri raccontano altro: molti dei brand più solidi crescono proprio grazie a un modello ibrido, in cui negozio fisico e canali digitali si alimentano a vicenda.

Il punto vendita smette di essere solo luogo di transazione diretta e diventa anche showroom, spazio esperienziale, punto di contatto per servizi post-vendita, location per eventi e community. In alcuni settori, come moda, elettronica, beauty, questo cambio di ruolo è già evidente: una parte importante delle decisioni d’acquisto nasce online, ma si consolida in store.

Per molte insegne, il passaggio più delicato è mentale e organizzativo: non vedere più il negozio come concorrente dell’e-commerce interno, ma come alleato.

Questo implica rivedere i sistemi di incentivazione (per esempio premiando il personale anche sui clienti che acquistano online dopo essere passati in negozio), ripensare i flussi di magazzino e garantire visibilità unificata delle disponibilità tra fisico e digitale.

Il cliente non accetta più di sentirsi dire “online c’è, ma qui no” come se fossero due aziende diverse: percepisce il brand come unico e si aspetta coerenza di assortimento, prezzi e servizio.

Il punto vendita fisico del modello ibrido deve anche attrezzarsi tecnologicamente: connessione diretta ai sistemi centrali, possibilità di consultare cataloghi estesi tramite tablet, strumenti per registrare i dati del cliente (previo consenso), soluzioni di pagamento flessibili.

Non si tratta di riempire il negozio di tecnologia fine a sé stessa, ma di usare il digitale per potenziare l’esperienza offline. Un addetto che, davanti al cliente, può verificare disponibilità online, proporre alternative, ordinare un prodotto con consegna a casa o ritiro in store, incarna meglio di qualsiasi slogan l’idea di integrazione brick and mortar + online.

In sintesi, il punto vendita fisico sta passando da “luogo in cui si vende” a “luogo in cui si orchestra la relazione con il cliente”, indipendentemente da dove poi avverrà la transazione. Chi ripensa il brick and mortar in questa chiave smette di vederlo come un residuo del passato e inizia a considerarlo uno strumento potente all’interno di una strategia omnicanale.

Brick and mortar vs online: vantaggi competitivi e limiti di entrambi i modelli

Quando si parla di brick and mortar vs online, il rischio è cadere in semplificazioni del tipo “fisico = passato, digitale = futuro”. In realtà, entrambi i modelli hanno vantaggi competitivi chiari e limiti strutturali che un’azienda deve conoscere per costruire una strategia equilibrata.

Il negozio fisico vince, prima di tutto, sulla dimensione sensoriale ed emotiva: puoi toccare i prodotti, provarli, annusarli, confrontare colori e texture dal vivo, ricevere feedback immediato dal personale. Questo livello di esperienza è difficilmente replicabile online, soprattutto in categorie come moda, beauty, arredo, food.

Inoltre, la presenza di un punto vendita fisico aumenta la percezione di affidabilità: sapere che un brand ha “una porta, una vetrina, un indirizzo” riduce molte barriere psicologiche all’acquisto.

Dall’altro lato, l’online ha una forza enorme in termini di copertura geografica, scalabilità e tracciabilità dei dati.

Un e-commerce ben strutturato è aperto 24/7, raggiunge clienti ovunque, può testare assortimenti diversi in tempo reale, ottimizzare prezzi e promozioni, personalizzare la comunicazione in base al comportamento di navigazione.

I costi fissi di gestione di un sito, a parità di volumi, possono risultare inferiori rispetto a una rete di punti vendita fisici, anche se non vanno sottovalutati i costi di logistica, marketing digitale e assistenza clienti. L’online è inoltre una macchina di raccolta dati: ogni click, ogni aggiunta al carrello, ogni abbandono racconta qualcosa sul comportamento del cliente.

I limiti, però, sono speculari. Il brick and mortar soffre per costi fissi elevati (affitti, personale, utenze), per la difficoltà di misurare con precisione il contributo del negozio su vendite omnicanale, per la dipendenza dal traffico di zona.

Un punto vendita in un’area poco frequentata, senza integrazione digitale, rischia di trasformarsi rapidamente in un centro di costo sotto-ottimizzato.

L’online, a sua volta, sconta l’assenza di esperienza fisica, la competizione feroce sui motori di ricerca e sui marketplace, la crescente diffidenza verso brand sconosciuti che esistono solo come “sito”. Inoltre, i costi di acquisizione cliente nel digitale sono saliti negli anni: non basta lanciare un e-commerce per vendere, serve un investimento continuo in visibilità.

Capire davvero il confronto brick and mortar vs online significa quindi smettere di chiedersi chi “vincerà” e iniziare a ragionare su come sfruttare i punti di forza di ciascun modello per compensare le debolezze dell’altro.

Il negozio fisico può diventare un generatore di fiducia e di relazioni che si traducono in vendite online; il canale digitale può portare traffico in store e offrire servizi che il punto vendita, da solo, non riuscirebbe a sostenere.

È in questa logica di compensazione reciproca che nasce l’onnicanalità concreta, quella che ha impatto reale su fatturato e marginalità.

Esperienza, dati, costi e fiducia: dove vince il negozio fisico e dove vince il digitale

Se proviamo a sintetizzare il confronto brick and mortar vs online lungo quattro assi – esperienza, dati, costi e fiducia – il quadro diventa più chiaro. Sul fronte esperienza, il negozio fisico ha un vantaggio naturale: layout, luci, musica, odori, interazione con il personale creano un contesto che coinvolge tutti i sensi.

Il digitale può offrire video, foto, recensioni, realtà aumentata, ma difficilmente restituisce la sensazione completa di un capo indossato o di un profumo provato sulla pelle. Non a caso, in molti settori, i clienti continuano a usare il negozio come luogo di prova, anche se poi acquistano online.

Sul versante dati, il rapporto si capovolge: l’online traccia quasi tutto. Pagine visitate, prodotti visti, tempo di permanenza, carrelli abbandonati, fonti di traffico: ogni interazione lascia una traccia.

In negozio, senza strumenti ad hoc (contapersone, sistemi di fidelizzazione, app, card), gran parte dei dati resta implicita: sai quante vendite fai, ma non sempre quante persone sono entrate, cosa hanno guardato, perché non hanno comprato.

La sfida per il brick and mortar è proprio colmare questo gap, introducendo strumenti di raccolta dati che non siano invasivi ma permettano di misurare in modo più accurato il contributo dello store.

Dal punto di vista dei costi, non si può dire aprioristicamente che uno sia “più economico” dell’altro: dipende da dimensioni, volumi e modello di business.

Il negozio fisico ha costi fissi evidenti, ma può beneficiare di vendite impulsive, cross-selling immediato, up-selling guidato dal personale.

L’online richiede investimento continuo in marketing digitale e logistica, con margini erosi da spedizioni, resi e commissioni di piattaforme terze. La scelta intelligente non è tagliare uno dei due, ma capire in quali segmenti di clientela il fisico è più redditizio e in quali l’online garantisce un miglior rapporto tra costo di acquisizione e valore generato.

Infine, la fiducia. Il brick and mortar, se ben gestito, trasmette solidità: un’insegna presente sul territorio, un volto a cui rivolgersi, la possibilità di tornare in caso di problemi. L’online deve lavorare di più per conquistare questo livello di fiducia: recensioni, contenuti di qualità, trasparenza su condizioni e resi, coerenza tra ciò che promette e ciò che consegna.

Non a caso, molte realtà nate digitali aprono punti fisici proprio per “fare corpo”, rendersi visibili nel mondo reale. Mettere a sistema queste dinamiche significa usare il negozio come acceleratore di fiducia per il digitale e il digitale come amplificatore della relazione nata in store.

Strategia omnicanale: come far lavorare insieme negozio fisico e canali online

Costruire una vera strategia omnicanale significa superare la logica “brick and mortar vs online” e iniziare a ragionare in termini di ecosistema. Il cliente non vede differenze tra sito, social, e-commerce, negozio fisico, newsletter: percepisce un unico brand e si aspetta coerenza di messaggi, prezzi, promozioni e servizio.

Dal punto di vista strategico, questo vuol dire integrare processi, dati e obiettivi, evitando che ogni canale lavori per conto proprio. Il primo passo è allineare il modello di business: definire chiaramente qual è il ruolo del negozio fisico, quale quello dell’online e come devono dialogare.

Un approccio efficace è partire dalle customer journey reali: come scopre il brand il tuo cliente? Dove si informa? Dove confronta i prezzi? Dove compra la prima volta e dove torna a comprare? Mappare questi percorsi, con dati e osservazione sul campo, permette di capire in quali punti il negozio fisico può rafforzare il digitale e viceversa.

Ad esempio, se molti clienti entrano in store con lo smartphone in mano per controllare recensioni e prezzi online, è segno che il negozio deve diventare più trasparente, offrire Wi-Fi, QR code, informazioni che evitino frizioni e facciano percepire coerenza tra i canali.

Dal lato operativo, una strategia omnicanale richiede un backend integrato: magazzini fisici e online collegati, stock condiviso, prezzi e promo sincronizzati, sistemi di pagamento coerenti. Se un prodotto è in offerta sul sito ma non in negozio, o viceversa, il cliente si sente tradito. Se la disponibilità online non tiene conto dello stock in store, rischi rotture di stock e promesse non mantenute.

Per questo, molte aziende stanno passando da una gestione “a silos” a piattaforme uniche che centralizzano catalogo, magazzino, ordini e anagrafiche clienti.

Infine, la strategia omnicanale deve essere compresa e condivisa da chi lavora in negozio. Se il personale percepisce l’e-commerce come un concorrente che “ruba vendite”, sarà difficile creare sinergie.

Servono formazione, sistemi di incentivazione allineati (ad esempio attribuendo parte del merito delle vendite online al negozio di riferimento del cliente) e strumenti pratici che permettano allo store di partecipare attivamente al successo dei canali digitali. Omnicanale non è solo tecnologia, è soprattutto cultura aziendale integrata.

Dal click & collect al ship from store: esempi concreti di integrazione brick and mortar

Per trasformare in pratica la teoria “brick and mortar + online”, è utile guardare a format concreti già diffusi nel retail. Il primo, ormai classico, è il click & collect: il cliente acquista online e ritira in negozio.

In questo scenario, il punto vendita fisico diventa un hub logistico e relazionale: riduce i costi di consegna, porta traffico in store (con potenziale cross-selling) e offre al cliente la sicurezza di un ritiro rapido, spesso in giornata. Per funzionare davvero, però, il processo deve essere fluido: notifica chiara quando l’ordine è pronto, tempi certi, personale formato sulla gestione delle consegne.

Un’evoluzione interessante è il ship from store: gli ordini online vengono evasi, dove possibile, direttamente dal negozio più vicino al cliente, non solo dal magazzino centrale. Questo modello permette di ridurre tempi di consegna, ottimizzare le scorte locali e valorizzare i punti vendita come piccoli centri distribuzione.

Richiede però un ottimo controllo dello stock, sistemi informatici aggiornati in tempo reale e procedure chiare per il personale, che si trova a gestire anche attività tipiche della logistica.

Altri esempi di integrazione sono i resì online gestiti in store (il cliente compra sul sito, ma può restituire direttamente in negozio, con rimborso immediato o credito da spendere) e la possibilità di ordinare in negozio prodotti non disponibili fisicamente, con consegna a casa o in un altro punto vendita.

In questo modo, il cliente percepisce il brand come un unico grande negozio, dove la limitazione di spazio fisico non è un ostacolo ma viene superata grazie al digitale.

Infine, ci sono le esperienze ibride legate al marketing: eventi in store promossi online, live streaming dal negozio, appuntamenti su prenotazione via app, programmi fedeltà che accumulano punti sia per gli acquisti in negozio sia per quelli online.

Ogni volta che un’iniziativa mette in relazione il mondo fisico e quello digitale, il messaggio è chiaro: non esiste più un vero “brick and mortar vs online”, ma una rete di canali che lavorano insieme per semplificare la vita al cliente e aumentare il valore generato per l’azienda.

Numeri, KPI e dati da monitorare in una strategia brick and mortar + online

Una volta superata la logica brick and mortar vs online e abbracciata l’idea di integrazione, la domanda successiva è: come misuro se tutto questo funziona? In una strategia omnicanale, i KPI non possono più essere letti a compartimenti stagni.

Non basta guardare il fatturato del negozio e, a parte, quello dell’e-commerce: bisogna capire come i due canali si influenzano, quanto il negozio genera vendite online (e viceversa), quanto un contatto nato digitale si traduce in traffico fisico. Il punto di partenza, però, resta sempre la base: scontrino medio, numero di transazioni, margine, rotazione di magazzino, traffico in store e tasso di conversione.

Nel mondo brick and mortar, molti retailer stanno introducendo contapersone, sensori e sistemi di analisi dei flussi per calcolare un dato chiave: quante persone entrano rispetto a quante comprano. Il tasso di conversione in negozio è un indicatore fondamentale di efficacia del punto vendita, così come il valore medio dello scontrino e il numero di pezzi per scontrino.

In parallelo, l’online continua a lavorare con metriche come sessioni, tasso di conversione e-commerce, carrelli abbandonati, ROAS delle campagne, costo di acquisizione cliente (CAC) e valore medio dell’ordine.

Il salto di qualità avviene quando si iniziano a introdurre KPI che misurano la relazione tra canali: percentuale di ordini online ritirati in store, quota di resi online gestiti in negozio, tasso di utilizzo del click & collect, impatto delle campagne digital sul traffico in store (online-to-store) e delle iniziative in store sulle vendite online (store-to-online).

L’uso di sistemi di fidelizzazione unificati e CRM integrati consente di seguire il comportamento del cliente tra i vari touchpoint, collegando scontrini fisici e acquisti digitali alla stessa anagrafica.

In questo scenario, uno dei KPI più importanti da monitorare diventa il Customer Lifetime Value (CLV) su base omnicanale: quanto valore genera, nel tempo, un cliente che utilizza sia negozio fisico che online rispetto a uno “mono-canale”?

In molti settori, i clienti omnicanale risultano più fedeli e più profittevoli. Dimostrarlo con i numeri aiuta a giustificare investimenti su integrazione tecnologica, formazione del personale e ripensamento del ruolo del punto vendita. I dati, se letti in chiave unitaria, diventano così la base per decisioni di marketing e finanza più consapevoli.

Dal traffico in store alla conversione web: come leggere i dati in modo integrato

Leggere i dati in chiave brick and mortar + online significa accettare che nessun KPI, da solo, racconta tutta la storia. Il traffico in store, ad esempio, non è solo una misura di quante persone entrano nel negozio, ma anche di quanto le tue attività digitali stanno generando visite fisiche.

Se dopo una campagna social o una newsletter vedi un picco di ingressi, anche senza immediata crescita nelle vendite online, hai comunque ottenuto un effetto positivo: il digitale sta spingendo persone reali dentro lo store. Per coglierlo, devi incrociare dati temporali, confrontare periodi e, quando possibile, chiedere direttamente al cliente da dove ti ha conosciuto.

Allo stesso modo, la conversione web va interpretata sapendo che molti utenti visitano il sito dopo essere passati in negozio. Un cliente che prova un prodotto in store, torna a casa, confronta con calma e poi compra online, genera un ordine che, se visto solo a livello e-commerce, sembra “merito” del digitale.

In realtà, il punto vendita ha avuto un ruolo fondamentale nella decisione. Gli strumenti di tracciamento avanzato (come codici client, programmi fedeltà, coupon personali utilizzabili su più canali) servono proprio a ricostruire questo tipo di percorso e ad attribuire correttamente il valore.

Un passo pratico verso una lettura integrata dei dati è definire dashboard omnicanale che includano, nello stesso cruscotto, indicatori di fisico e online. Ad esempio: fatturato totale, quota brick and mortar, quota e-commerce, clienti attivi per canale, clienti attivi su entrambi, frequenza d’acquisto, incidenza di click & collect, tasso di reso per canale. Vedere tutto insieme cambia la percezione: non hai più due business separati, ma un unico sistema che genera valore in modi differenti.

Infine, è importante evitare la tentazione di “forzare” i dati per far vincere un canale sull’altro. In molte organizzazioni, il conflitto interno nasce proprio dall’attribuzione del merito: chi porta davvero la vendita? In un’ottica moderna, la domanda cambia: come possiamo far sì che ogni contatto – che nasca online o in negozio – aumenti la probabilità che il cliente resti con noi e continui ad acquistare?

È questa la logica che trasforma il confronto brick and mortar vs online in una lettura più matura, orientata al valore complessivo generato dalla relazione col cliente.

Investire sul brick and mortar nell’era digitale: quando ha ancora senso

Cliente in un negozio fisico che guarda lo smartphone mentre valuta un prodotto sugli scaffali

In un contesto in cui il digitale sembra dominare la conversazione, chiedersi se abbia ancora senso investire sul brick and mortar è legittimo. La risposta, nella maggior parte dei casi, è sì – ma non a qualsiasi condizione e non con lo stesso approccio di dieci anni fa.

Aprire o mantenere un punto vendita fisico oggi ha senso quando il negozio svolge ruoli che il solo online fatica a coprire: creare fiducia, offrire consulenza personalizzata, permettere prova prodotto, gestire servizi post-vendita complessi, servire clienti che preferiscono interagire di persona. Inoltre, il negozio può diventare un asset logistico, contribuendo a velocizzare consegne e resi.

L’investimento sul retail fisico però va valutato con criteri più rigorosi: posizione, bacino di utenza, potenziale di sinergia con l’online, costi di gestione, possibilità di usare lo store come hub per attività omnicanale (click & collect, eventi, appuntamenti, consulenze).

Un punto vendita che non è integrato con i canali digitali rischia di diventare un’isola scollegata, difficile da sostenere economicamente. Al contrario, uno store progettato fin dall’inizio per lavorare insieme all’e-commerce può generare valore su più livelli: vendite dirette, lead per il digitale, raccolta dati, rafforzamento del brand.

Un altro fattore da considerare è la specializzazione. Nelle aree ad altissima concorrenza, un negozio generalista fatica a emergere, mentre format molto verticali (consulenza beauty, running, elettronica specialistica, arredo su misura) trovano spazio proprio perché offrono competenza e supporto che il cliente non percepisce nei grandi marketplace.

In questi casi, il brick and mortar non compete sul prezzo, ma su servizio, competenza e relazione, spesso in combinazione con strumenti digitali che ampliano l’assortimento e facilitano l’ordine.

Infine, ha senso investire sul fisico quando si è disposti a misurarlo e a ripensarlo. Tenere aperto un punto vendita per abitudine, senza monitorare KPI, senza lavorare sull’integrazione con l’online, è un costo. Vederlo come laboratorio, vetrina del brand, luogo di sperimentazione di nuove esperienze (eventi, workshop, servizi su appuntamento) lo trasforma in un asset dinamico, che può evolvere con il mercato invece di subirlo.

Piccole attività, catene e brand: come scegliere il mix giusto tra fisico e online

La scelta del giusto mix brick and mortar + online cambia molto a seconda che si tratti di una piccola attività, di una catena o di un brand strutturato. Per una piccola impresa locale, il negozio fisico spesso è il cuore del business: la sfida non è eliminarlo, ma affiancargli strumenti digitali intelligenti.

Un e-commerce completo può essere complesso da gestire, ma un sito vetrina ben fatto, una presenza curata su Google e social, la possibilità di ricevere ordini via web o messaggistica e magari un sistema di prenotazione prodotti sono già passi concreti verso l’integrazione. Qui l’obiettivo è usare il digitale per aumentare la visibilità del negozio e semplificare la vita ai clienti abituali.

Per una catena retail, il tema è diverso: il network di punti vendita può diventare una rete di hub omnicanale. In questo caso, la sfida è armonizzare processi e sistemi, definire ruoli chiari per ciascun canale, evitare guerre interne tra negozi e e-commerce, lavorare su programmi fedeltà unificati e campagne marketing integrate.

Una catena ha il vantaggio di poter investire in piattaforme tecnologiche avanzate, ma deve anche fare i conti con l’eterogeneità dei singoli store, delle location e dei team.

Per i brand che nascono online, la domanda è se e quando aprire punti fisici. In molti casi, l’apertura di un flagship store o di pop-up temporanei ha mostrato di avere impatti positivi su awareness, fiducia e vendite (anche online).

Qui il brick and mortar è concepito fin dall’inizio come estensione del digitale: spazi altamente esperienziali, assortimenti selezionati, forte integrazione con app, QR code, contenuti social. Più che un canale di vendita “a sé”, il negozio diventa un touchpoint di alto valore nella customer journey, pensato per raccontare il brand e supportare l’e-commerce.

In tutti i casi, la chiave è la coerenza: non ha senso aprire (o chiudere) negozi sulla base di mode del momento. Serve una riflessione strutturata su pubblico, prodotto, margini, obiettivi di crescita e capacità organizzativa.

Il mix giusto tra fisico e online non è uguale per tutti, ma la domanda di fondo è la stessa: in che modo ogni euro investito in mattoni e ogni euro investito in digitale contribuiscono al valore complessivo generato dal cliente nel tempo?

Brick and mortar e online: non una guerra, ma un ecosistema

Arrivando in fondo al confronto brick and mortar vs online, diventa chiaro che ragionare in termini di “guerra” tra canali è ormai superato. Il cliente vive una realtà fluida: passa dal telefono al negozio, dal sito all’app, da una vetrina fisica a una vetrina digitale in pochi secondi.

Per lui non esiste un confine netto tra offline e online, esiste solo un’esperienza complessiva più o meno soddisfacente. Se i canali si contraddicono, si ignorano o si ostacolano, chi ne paga il prezzo è proprio l’esperienza del cliente, che percepisce il brand come disorganizzato o poco affidabile.

Vedere brick and mortar e digitale come parti di un ecosistema significa ripensare l’organizzazione attorno al cliente e non attorno ai silos interni. Il negozio fisico non è un residuo del passato, l’e-commerce non è un bonus opzionale: sono due strumenti che, se ben orchestrati, possono moltiplicare l’efficacia l’uno dell’altro.

Il fisico porta profondità relazionale, il digitale porta profondità di dati; il negozio offre esperienza sensoriale, il sito offre convenienza e reperibilità; lo store rassicura, l’online amplia la portata.

In questo scenario, marketing e finanza devono lavorare insieme: non solo per allocare budget tra canali, ma per misurare il valore omnicanale del cliente nel tempo. Significa accettare che alcune iniziative in negozio genereranno ritorni soprattutto online e che investimenti nel digitale avranno impatto sul traffico in store.

L’importante è che il modello di misurazione sia abbastanza avanzato da cogliere queste interdipendenze, e che le persone in azienda vengano premiate non per “difendere il proprio orticello”, ma per contribuire alla crescita complessiva.

Alla fine, il passaggio chiave è culturale: smettere di chiedersi “chi vince tra brick and mortar e online?” e iniziare a domandarsi “come possiamo costruire il miglior percorso possibile per il nostro cliente, usando tutti gli strumenti a nostra disposizione?”.

È questa la prospettiva che trasforma un conflitto apparente in un ecosistema integrato, capace di adattarsi al mercato e di generare valore nel lungo periodo.

Costruire un’esperienza fluida per il cliente, a prescindere dal canale

Costruire un’esperienza davvero fluida significa progettare ogni contatto – in negozio, sul sito, sui social, via email – come parte di una stessa storia.

Dal punto di vista del cliente, passare dal brick and mortar all’online dovrebbe essere naturale: stessi prezzi (quando possibile), policy chiare e coerenti, linguaggio allineato, informazioni facili da trovare.

Se in store gli prometti un certo servizio, deve ritrovarlo anche sul sito; se online gli proponi un vantaggio, dovrebbe poterlo sfruttare anche in negozio, o quantomeno compresene i limiti in modo trasparente.

Un’esperienza fluida richiede anche attenzione ai dettagli operativi: tempi di risposta, gestione dei resi, chiarezza delle comunicazioni, semplicità dei processi. Un click & collect che costringe il cliente a fare la fila normale in cassa perde gran parte del suo valore; un reso in store per un ordine online rifiutato o rallentato crea frustrazione. Ogni attrito tra canali si traduce in percezione negativa del brand, indipendentemente da quale team “formalmente” gestisca quella fase.

Dall’altro lato, quando l’esperienza funziona, il cliente lo percepisce subito. Entrare in negozio e trovare già pronto l’ordine fatto online, ricevere suggerimenti coerenti con gli acquisti passati, vedere che il personale in store conosce le promo del sito e sa come applicarle, sentire che l’azienda si ricorda di lui indipendentemente dal canale, tutto questo costruisce fiducia e aumenta la probabilità di ritorno.

Il marchio smette di essere un insieme di punti di contatto scollegati e diventa una presenza unica, riconoscibile e affidabile.

In ultima analisi, il vero obiettivo non è dimostrare che il fisico è meglio del digitale o viceversa, ma far sì che il cliente non debba più pensarci.

Se l’esperienza è fluida, se ogni canale fa quello che sa fare meglio e se l’azienda riesce a orchestrare il tutto con coerenza, la distinzione brick and mortar vs online perde significato. Resta un’unica cosa che conta davvero: la qualità della relazione tra brand e cliente nel tempo, misurata in fiducia, soddisfazione e valore generato da entrambe le parti.