Metaverso esempio semplice: come sarebbe una giornata da utente e da brand

Il problema del metaverso è che tutti ne parlano, ma pochi riescono a spiegare in modo concreto cosa ci faranno davvero persone e aziende. Finché restiamo su parole come “immersivo”, “esperienziale”, “3D” sembra solo marketing per dire “una cosa un po’ più evoluta di un social o di un videogioco”.

Invece il modo più semplice per capire è immaginare un metaverso esempio semplice: una giornata tipo, vista prima dagli occhi di un utente normale e poi da quelli di un brand che vuole farci business.

In questa guida non faremo un trattato tecnico. Partiremo da un esempio pratico di giornata nel metaverso: accesso, lavoro, formazione, socialità, acquisti. Poi ribalteremo la scena e guarderemo la stessa giornata dal punto di vista dell’azienda: quali touchpoint, che dati, che tipo di funnel, quali conversioni, quali rischi.

L’obiettivo è dare a chi fa marketing, prodotto o business una base concreta per valutare se, quando e come sperimentare davvero, andando oltre slide entusiaste e buzzword.

Metaverso, partiamo da un esempio semplice: cosa intendiamo davvero

Persona in ufficio con visore VR che partecipa a una riunione virtuale nel metaverso mostrata sul monitor

Prima di costruire un metaverso esempio semplice, serve fissare un minimo il perimetro. Con “metaverso” non intendiamo un singolo prodotto, ma un insieme di ambienti digitali tridimensionali, persistenti, in cui l’utente entra con un avatar, interagisce con altre persone, partecipa a eventi, gioca, lavora, compra.

Non è solo realtà virtuale con visore, anche se il visore è una delle interfacce possibili. Può essere accessibile anche da PC o smartphone, come già succede in molte piattaforme.

La differenza rispetto a un normale social sta soprattutto nel grado di immersione e interazione. Non commenti sotto un post, ma “entri” in un luogo digitale e ti muovi dentro: entri in una sala, ti avvicini a un oggetto, ascolti una presentazione, parli con un avatar come se fosse davanti a te.

Non è più solo scorrere contenuti, ma vivere esperienze che simulano spazi e relazioni fisiche, con in più elementi impossibili nel mondo reale (teletrasporti, ambienti che cambiano al volo, oggetti digitali che seguono l’utente da un mondo all’altro).

Un altro elemento chiave è la persistenza. L’ambiente continua a esistere anche quando esci. Se un’azienda crea un suo spazio – un negozio virtuale, una sala formazione, un’arena per eventi – quell’ambiente può essere visitato da utenti diversi in momenti diversi, con oggetti che restano, contenuti che si aggiornano, interazioni che lasciano tracce.

Non è una “stanza Zoom” che sparisce a fine call, ma un luogo digitale che può diventare un asset a lungo termine.

Dal concetto alla pratica: cosa cambia rispetto a un normale social o videogame

Detto così, qualcuno potrebbe obiettare: “Ma non è solo un videogame o un social in 3D?”. In parte sì, in parte no. Un videogioco è centrato sul gioco stesso, con regole e obiettivi precisi.

Il metaverso, almeno nella sua versione più interessante per business e marketing, è un contenitore di molte attività diverse: meeting, formazione, eventi, shopping, networking, intrattenimento. Alcune piattaforme nascono dai giochi e ci somigliano, ma l’uso che ne può fare un brand è più ampio.

Rispetto a un social classico, cambiano soprattutto modalità e profondità dell’interazione. Su Instagram o LinkedIn guardi contenuti, reagisci, commenti.

In un metaverso entri in uno spazio brandizzato, parli in voce con un consulente-avatar, provi virtualmente un prodotto su un manichino digitale, partecipi a una demo in “sala conferenze”, magari firmi un contratto elettronico alla fine. La sensazione per l’utente è di “esserci stato”, non solo di aver visto un contenuto.

Dal lato azienda, ogni movimento dell’avatar è un dato in più: dove si è fermato, cosa ha guardato, con chi ha parlato, quali oggetti ha toccato, quali aree ha ignorato. È come avere analytics di negozio fisico e sito web fusi insieme, con in più la dimensione spaziale.

È proprio in questo incrocio tra esperienza utente e dati che il metaverso può diventare interessante per marketing e vendite, se smettiamo di vederlo come “giocattolo nerd” e lo leggiamo come un possibile nuovo ambiente di relazione.

Una giornata nel metaverso dal punto di vista dell’utente

Per capire meglio, immaginiamo un metaverso esempio semplice dal punto di vista di una singola persona.

Chiameremo questa persona “Luca”. Non è un gamer incallito, ma un utente medio: lavora in un’azienda, fa formazione ogni tanto, compra online, passa tempo sui social. Un giorno decide di usare una piattaforma di metaverso con il suo avatar, accessibile sia da visore sia da PC.

La mattina entra nel metaverso dal computer di casa. Si collega a una riunione di lavoro che il suo team ha deciso di fare in uno spazio virtuale invece che in una classica videocall.

Si ritrova in una sala riunioni 3D, vede i colleghi-avatar seduti al tavolo, può condividere file su una parete virtuale, usare lavagne digitali, spostarsi in piccoli “angoli” per micro-riunioni a due. A livello pratico non cambia il contenuto della riunione, ma l’esperienza è più simile a un meeting in ufficio che a una griglia di facce su uno schermo.

Nel pomeriggio Luca entra di nuovo, stavolta dal visore, per seguire un corso di formazione. Il suo datore di lavoro ha scelto un provider che fa training nel metaverso. Invece di guardare slide piatte, si muove in un ambiente a “stazioni”: in una sala vede un video, in un’altra interagisce con un simulatore, in un’altra ancora fa esercizi in piccoli gruppi, parlando in voce con altri partecipanti-avatar. Il tutto resta registrato in modo anonimo per misurare tempo, attività, avanzamento.

Lavoro, formazione, socialità e acquisti: cosa può succedere in pratica

A fine giornata, Luca entra ancora una volta. Questa volta lo fa per socializzare e fare shopping. Un amico lo invita a un evento live: un piccolo concerto di un artista emergente, che suona in uno spazio virtuale sponsorizzato da un brand. Gli avatar ballano, si spostano, usano emoji e reazioni. È un’esperienza ibrida tra concerto, chat e evento social.

Durante il concerto vede il logo di un marchio di abbigliamento sportivo. Cliccando su un cartellone virtuale, viene “teletrasportato” in un negozio 3D del brand. Qui può guardare modelli esposti in modo realistico, toccare gli oggetti per leggere schede tecniche, personalizzare un capo scegliendo colori e dettagli. Alla fine, se vuole, può concludere l’acquisto aprendo una finestra di e-commerce classico collegata al sito del brand.

La giornata di Luca nel metaverso non è fantascienza, ma un esempio concreto di come si possono integrare lavoro, formazione, eventi, socialità e shopping in un unico ambiente persistente. Il punto importante: non ha “solo giocato”, ma svolto attività che oggi fa comunque, solo in spazi digitali più immersivi.

La stessa giornata vista dal brand: touchpoint, dati e opportunità

Avatar che visitano uno store 3D di un brand nel metaverso con prodotti digitali esposti

Adesso guardiamo lo stesso metaverso esempio dal punto di vista del brand. Prendiamo proprio il marchio di abbigliamento sportivo che ha sponsorizzato il concerto e ha creato il negozio virtuale. Per l’azienda, quella giornata non è solo intrattenimento: è una sequenza di touchpoint con potenziali clienti come Luca.

Il primo contatto è lo spazio evento. Il brand paga (o co-organizza) il concerto, mette il suo logo, crea alcuni oggetti di scena personalizzati, magari regala asset digitali (skin, accessori per avatar) a chi partecipa. Non sta vendendo direttamente, ma costruendo presenza e familiarità.

Secondo touchpoint: il teletrasporto nel negozio 3D. Qui il marketing entra nel vivo. Ogni movimento dell’avatar viene tracciato: quali aree visita, su quali prodotti si ferma, che personalizzazioni prova. L’azienda ha analytics molto più ricchi di una semplice visita a un sito: sa come le persone si muovono nello spazio, non solo cosa cliccano.

Esperienze, funnel e conversioni dentro e fuori dal metaverso

La parte interessante è il funnel. Invece di un banner che porta a una landing, qui il percorso è: evento → spazio brand → interazione → e-commerce. Tutto avviene senza uscire dalla piattaforma fino al momento del pagamento. L’utente è in un flusso continuo, non salta da social a sito a app, ma vive un’esperienza unica che integra brand, contenuto e prodotto.

Le conversioni non sono solo gli acquisti. Per il brand contano anche iscrizioni a una newsletter, download di contenuti, partecipazioni a challenge, aggiunta di item digitali al proprio avatar. Ogni azione crea dati di prima parte che l’azienda può usare (nel rispetto delle regole privacy) per segmentare, fare retargeting, personalizzare offerte.

Nel mondo fisico sarebbe impossibile tracciare con questa precisione i movimenti in negozio. Nel metaverso, invece, l’azienda può testare layout, percorsi, esposizioni cambiandoli in tempo reale, quasi come fare A/B test su uno store fisico ma con costi infinitamente inferiori. È questo il motivo per cui, lato brand, una “semplice” giornata come quella di Luca è così interessante.

Metaverso esempio di business: cosa può fare concretamente un’azienda oggi

Fin qui abbiamo descritto uno scenario ideale. Ma cosa può fare davvero un’azienda oggi? Un metaverso esempio concreto potrebbe essere questo: un brand medio-grande decide di aprire uno spazio virtuale in una piattaforma esistente (non costruisce il suo metaverso da zero). All’interno crea tre zone: showroom prodotti, area eventi, spazio assistenza clienti.

Nella zona showroom espone i suoi prodotti principali in 3D. Le persone possono avvicinarsi, girare gli oggetti, leggere informazioni, vedere video integrati. La parte eventi ospita piccoli lanci prodotto, incontri con testimonial, workshop con esperti.

L’area assistenza è presidiata da avatar-operatori reali in orari prestabiliti, che rispondono a domande e raccolgono richieste, con la stessa logica di una chat live ma in uno spazio immersivo.

Parallelamente, l’azienda collega questo spazio al proprio e-commerce: dal metaverso si può passare a una pagina prodotto reale con un clic, senza perdere il filo dell’esperienza. Per il marketing diventa un canale in più, non un mondo parallelo scollegato dal resto del funnel.

Retail, eventi, assistenza e community: casi d’uso replicabili

Le aree dove un metaverso ha più senso, oggi, sono soprattutto:

Retail virtuale: versioni 3D di negozi o showroom per prodotti che beneficiano della visualizzazione spaziale (arredo, moda, elettronica, automotive).

Eventi: lanci prodotto, conferenze, incontri con clienti in spazi in cui le persone possono “girare” e non solo guardare slide.

Assistenza: corner virtuali dove un consulente-avatar mostra e spiega in 3D ciò che al telefono è difficile descrivere.

Community: spazi dove fan o clienti si incontrano, partecipano a attività, guadagnano oggetti digitali legati al brand.

Questi casi d’uso non sono fantascienza e possono essere replicati, con budget diversi, da molte aziende. L’errore è pensare al metaverso solo come mega investimento unicamente per big tech. Esistono già soluzioni “as a service” che permettono di testare piccoli spazi brandizzati senza costruire una piattaforma da zero.

Limiti, rischi e malintesi: dove il metaverso non è (ancora) una buona idea

Ogni metaverso esempio entusiasmante va bilanciato con un po’ di realismo. Non tutte le aziende hanno senso lì dentro, non tutti i pubblici sono pronti, non tutte le esperienze rendono meglio in 3D. C’è il rischio di inseguire l’hype, spendere budget solo per dire “ci siamo anche noi” e poi ritrovarsi con uno spazio vuoto dove non entra nessuno.

Il primo limite è il pubblico reale. Oggi la platea che usa regolarmente ambienti di tipo metaverso non è paragonabile a quella di un social mainstream. In molti casi si tratta di nicchie: gamer, early adopter, segmenti giovani. Se il tuo target è molto diverso, l’investimento rischia di non giustificarsi.

Secondo limite: costi e complessità. Anche usando piattaforme esistenti, serve tempo per progettare esperienze sensate, presidiare gli spazi, integrarli con sistemi esistenti. Se l’azienda non ha una strategia chiara, il metaverso diventa un progetto spot che si spegne in fretta.

Costi, pubblico reale, sovrastima dell’hype e problemi di misurazione

Spesso si sottovalutano anche i problemi di misurazione. Non basta sapere quante persone sono entrate nello spazio virtuale. Bisogna capire quante sono tornate, cosa hanno fatto, se hanno poi comprato qualcosa sul sito o nel mondo reale. Senza un minimo di tracciamento integrato, il metaverso rischia di essere un enorme contenitore di vanity metrics.

C’è poi la sovrastima dell’hype. Il fatto che molti parlino di metaverso non significa che tutti i settori debbano correre subito dentro.

Alcuni business, soprattutto B2B molto tecnici o mercati con target anziano, hanno priorità digitali più urgenti: migliorare sito, funnel, CRM, marketing automation. In questi casi il metaverso può aspettare.

Infine, non va trascurato l’aspetto reputazionale. Se l’esperienza è scadente, lenta, vuota, l’effetto boomerang è dietro l’angolo: l’utente associa al brand un ambiente poco curato e confuso. Meglio non esserci, che esserci “tanto per”.

Metaverso ed esempi futuri: come prepararsi senza buttare budget

Arrivati qui, il metaverso esempio semplice che abbiamo usato serve a una cosa: capire che non è magia, ma un nuovo tipo di ambiente digitale in cui è possibile portare attività che già esistono altrove. Non sostituisce tutto, non è obbligatorio per chiunque, ma è un trend da monitorare con lucidità, soprattutto se lavori in marketing, innovazione o customer experience.

La domanda pratica diventa: cosa può fare un’azienda oggi per prepararsi senza bruciare budget? In molti casi la risposta non è “costruire subito uno spazio enorme”, ma iniziare a studiare piattaforme esistenti, osservare cosa fanno brand simili, sperimentare progetti pilota piccoli e misurabili.

È più utile partire da un obiettivo concreto (migliorare formazione interna, creare un nuovo tipo di evento, testare uno showroom virtuale) che da un generico “entriamo nel metaverso”. L’ambiente è solo un mezzo: se il perché non è chiaro, la tecnologia non salva il progetto.

Linee guida per sperimentare in piccolo e non farsi travolgere dalla moda

Per chi vuole iniziare, alcune linee guida semplici:

1. Partire da un caso d’uso preciso (formazione, evento, showroom) e non da un “metaverso generico”.
2. Scegliere una piattaforma esistente e cominciare con spazi piccoli, testando su un segmento limitato di utenti o clienti.
3. Integrare fin dall’inizio la misurazione: cosa vogliamo osservare? Presenza, interazione, conversioni?
4. Presidiare gli spazi con persone reali (moderatori, consulenti, formatori), invece di lasciarli vuoti dopo il lancio.
5. Collegare il metaverso al resto dell’ecosistema: sito, CRM, campagne, e-commerce.

In questo modo il metaverso smette di essere una buzzword astratta e diventa uno strumento da mettere al servizio di obiettivi chiari.

Un metaverso esempio semplice come quello raccontato qui non ha la pretesa di coprire tutti i possibili scenari, ma offre una base concreta da cui partire per decidere se, quando e come ha senso che il tuo brand faccia il passo successivo.