Le criptovalute devono essere qualcosa di più che pagamenti alternativi per avere un futuro?

Quando Satoshi Nakamoto nel 2009 ha lanciato la prima valuta digitale, il Bitcoin, probabilmente non si sarebbe aspettato tutto il successo che la sua creazione ha riscosso in questi pochi anni.

Il prezzo del Bitcoin, che era di pochi centesimi di dollaro all’inizio, è schizzato verso l’alto per raggiungere delle cifre astronomiche. Basti pensare che nell’aprile di questo 2022, ha toccato una valutazione di 43.000 sul tasso di cambio Bitcoin EUR. A oggi, tre mesi dopo, siamo sotto i 19.000, con una delle peggiori perdite di valore di sempre.

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I problemi delle criptovalute: il TPS

Pensiamo che in realtà l’intenzione di Satoshi Nakamoto, il “nom de plume” del misterioso creatore del Bitcoin, fosse quella di dimostrare che una simile cosa poteva essere fatta. E per esemplificarlo, ha creato una valuta-esempio: il Bitcoin.

Che in effetti, ha tutte le caratteristiche di una “Beta” evoluta. È sicuramente funzionale, ma richiede enormi dispendi di energia per essere transata attraverso la rete blockchain. Inoltre, supporta pochissimi scambi ogni secondo – circa cinque – cosa che la rende assolutamente incapace dei gestire grandi moli di scambi come avviene invece, per esempio, con le transazioni bancarie o quelle delle carte di credito. Tanto per dare un’idea, si tratta di cifre di diversi ordini di grandezza più elevate.

Il TPS (transazioni per secondo) è il numero magico che limita la scalabilità verso l’alto delle criptovalute quali mezzi di pagamento. Bitcoin, la prima valuta digitale, raggiunge un valore di 5. Ethereum, che è una cripto di seconda generazione, ne gestisce 15, mentre Ripple, una cripto molto recente, riesce a raggiungere le 1.000 TPS. Il circuito Visa, leader mondiale delle carte di credito, riesce a gestire 65.000 TPS. Un altro circuito finanziario molto diffuso come PayPal si situa nel mezzo, con le sue 200 TPS. Questo è il vero “soffitto di cristallo” che limita l’adozione delle criptovalute e la loro diffusione: quello di non essere – ancora – un possibile strumento di pagamento.

Il valore dei Bitcoin conferma la nostra ipotesi

Questa cronica inabilità di essere utilizzato davvero come “coin” a causa della scarsa reattività della sua blockchain ha portato i Bitcoin a essere considerati un asset esattamente come un’azione, solo più soggetti a trend di crescite esplosive e ribassi da brivido – e questo ha causato, all’interno delle comunità meno esperte nelle dinamiche finanziarie degli investimenti, una notorietà che li considera una specie di lotteria.

E ciò ha fatto sì che i Bitcoin, i primi nati nel mercato digitale, si siano assicurati una posizione dominante, proprio perché sono indubbiamente partiti prima degli altri, non certo perché abbiano caratteristiche migliori.

Detto questo, ci sono programmatori che lavorano per migliorare i Bitcoin per renderli concorrenziali nell’epoca moderna. Eiste un’organizzazione ufficiale che lavora sul Bitcoin per migliorarne le lacune: la Bitcoin Foundation, un’organizzazione non a scopo di lucro, che però non è stata legittimata da Nakamoto – se Nakamoto esiste davvero, cosa di cui non tutti sono certi.

In sintesi

Queste sono solo alcune delle ragioni per cui Bitcoin e compagnia non hanno ancora raggiunto non la notorietà (che hanno a bizzeffe) ma la trasparenza necessaria per essere accettati e utilizzati dal grande pubblico. In realtà, esiste una profonda diffidenza verso questi strumenti digitali, alimentata anche dalle notizie negative che arrivano dal mondo criptovalute e che vengono amplificate da una stampa generalista più attenta allo scoop che all’informazione.

In linea generale, possiamo affermare che se, e quando, questa traslazione culturale avverrà, le criptovalute inizieranno a essere utilizzate non solamente in ambito speculativo – ma purtroppo, trattandosi di Italia, un paese dove il livello di competenza finanziaria è tra i più bassi in Europa, questo traguardo sembra, per ora, ancora molto lontano.